lunedì 9 gennaio 2023

LA FOLLIA DELLA "DISCRIMINAZIONE POSITIVA"

E’ una delle tante follie dell’occidente in crisi, e di certo non la meno grave.
Si chiama “azione positiva” e si presenta come tentativo di “riparare” le ingiustizie di cui l’occidente si è reso responsabile nel corso della sua storia. I gruppi etnici, razziali, sessuali o di altro tipo che in passato hanno dovuto subire o ancora subiscono ingiustizie e discriminazioni andrebbero compensati con discriminazioni positive a loro favore. Un certo numero di posti nelle università, nelle istituzioni, nelle assunzioni andrebbe riservato ai membri di tali gruppi, indipendentemente da ogni valutazione su professionalità e merito. In questo modo non solo si consentirebbe di rimediare, in ritardo, a vecchie ingiustizie, ma si ristabilirebbe, oggi, una certa uguaglianza fra i membri della società.
Ma la filosofia dei teorici dell’azione, meglio, della discriminazione positiva va oltre. Alle richieste di “azioni positive” si affiancano richieste di risarcimenti che andrebbero riconosciuti ai lontani discendenti di chi decenni o secoli fa ha dovuto subire ingiuste discriminazioni. Si assiste oggi alla continua richiesta di “scuse” avanzate da rappresentanti di popoli e gruppi etnici che in passato hanno dovuto subire l’egemonia occidentale. E, va da se, l’occidente in crisi risponde spesso in maniera affermativa a tali richieste, Per farla breve: scuse, risarcimenti e, soprattutto, discriminazioni positive messe in atto oggi dovrebbero compensare discriminazioni ingiuste di decenni o secoli fa. Solo così l’equilibrio potrebbe essere ricostituito. Ha un senso, un senso positivo, una simile politica? La risposta è NO.
Dovrebbe essere intuitivo, addirittura scontato, che, se ci sono state, o, peggio, ci sono ingiuste discriminazioni ai danni di singoli e gruppi la via maestra per uscirne è una sola: cercare di costruire società il più giuste ed il meno discriminatorie possibile. Non si tratta di punire i lontani discendenti dei mercanti di schiavi, ma di porre a base della società il rispetto per la dignità che spetta incondizionatamente ad ogni essere umano. Un simile approccio al problema appare però troppo “semplice” ai sostenitori della “discriminazione positiva”. Val la pena quindi di sottoporre a critica il più possibile esaustiva la loro dottrina.

Anche limitando l’analisi al solo loro aspetto utilitaristico le varie teorie della “discriminazione positiva” appaiono insostenibili. E’ intuitivo che simili teorie sono quanto di più lontano si possa immaginare dal concetto di merito. I posti di responsabilità andrebbero assegnati non in base alle competenze che i singoli dimostrano di avere, ma al loro sesso, al colore della loro pelle o ad altre loro caratteristiche accidentali. Se devo farmi operare al cuore in base a quale criterio scelgo il chirurgo? Mi interessa la sua professionalità o il suo sesso, o il colore della sua pelle? Mi sento sicuro se volo su un aereo il cui pilota è stato scelto non perché ha superato brillantemente difficili esami ma perché ha determinati gusti sessuali? Basta fare queste domande per avere la risposta. Anche prescindendo da ogni considerazione sulla palese ingiustizia che deve subire chi in un pubblico concorso si vede superato da persone che hanno meno metriti di lui ma che appartengono a categorie protette, anche prescindendo da questo e limitando l’analisi a puri concetti utilitaristici, appare del tutto evidente che se applicate con un minimo di coerenza ed ampiezza le teorie della discriminazione positiva contribuiscono a creare qualcosa di inaccettabile: società in cui il merito è negletto, con conseguente abbassamento del tenore di vita e della sicurezza di tutti, indipendentemente da sesso, colore della pelle o credo religioso.

Quello utilitaristico è però solo uno degli aspetti negativi della “discriminazione positiva”.
Questa teoria si caratterizza per la costante ricerca di “risarcimenti” che spetterebbero ai membri di determinasti gruppi per le discriminazioni ed ingiustizie, spesso assai lontane nel tempo, che questi hanno dovuto subire. Però anche ad un esame superficiale emerge chiaramente una cosa: coloro che dovrebbero risarcire appartengono tutti ad una determinata civiltà o sesso, o credo religioso, i risarciti invece appartengono ad altre civiltà, sesso, credo religiosi. Chi deve risarcire è di norma maschio, bianco, occidentale, eterosessuale, cristiano. I risarciti sono non occidentali, non bianchi, non cristiani, femmine od omosessuali. Ma, ha un minimo di senso una simile ripartizione? I colonialisti occidentali hanno ridotto a protettorati molti stati islamici, è vero, ma in precedenza l’Islam aveva conquistato mezza Europa. Se l’occidente deve “risarcire” l’Islam questo deve a sua volta “risarcire” l’occidente. E che dire delle donne o degli omosessuali che di certo non se la passano troppo bene in paesi come l’Iran? Sono alleati di chi impone loro il velo, li tortura o li impicca contro il maschio bianco occidentale ed eterosessuale?
La logica “risarcitoria”, se non vuole essere una mera forma di odio dell’occidente nei confronti di se stesso, dovrebbe riguardare tutti: gli imperialisti occidentali come quelli orientali o medio orientali, i maschi come le femmine, gli omo come gli eterosessuali. E non dovrebbe essere limitata nel tempo. Se ha senso chiedere “discriminazioni positive” per riparare ingiustizie di un paio di secoli fa dovrebbe aver senso chiederne per riparare altre ingiustizie, probabilmente più gravi, di un paio di millenni fa. I discendenti degli antichi Galli e Britanni, conquistati armi alla mano dalle legioni romane, dovrebbero chiedere “discriminazioni positive” ai danni degli italiani, questi le dovrebbero chiedere ai tedeschi per le invasioni del Barbarossa, i polacchi dovrebbero chiederle ai russi, questi ai mongoli; gli ebrei dovrebbero chiedere risarcimenti a mezzo mondo però anche loro, millenni fa, qualche ingiustizia nei confronti di altri popoli la hanno commessa. Tutti nella storia hanno commesso o subito ingiustizie, non esistono singoli o gruppi senza peccato. La logica della “discriminazione positiva”, se applicata in maniera non faziosa, aprirebbe la via ad un rimando infinito di “discriminazioni positive” e richieste di scuse e risarcimenti.
E questo rimando all’infinito non riguarda solo il passato, si proietta nel futuro. Per “riparare” ad ingiustizie di 20 o 200 anni fa bisognerebbe discriminare i discendenti di coloro che hanno commesso in passato tali ingiustizie, solo così si potrebbe creare una situazione giusta, si dice. Però in questo modo non si fa altro che aggiungere ingiustizia ad ingiustizia: nulla è infatti tanto palesemente ingiusto quanto far pagare a figli, nipoti e pronipoti le colpe dei padri, nonni e bisnonni. Né l’ingiustizia di oggi serve a ricostituire una situazione più giusta od equa. Il danno che deve subire chi è vittima oggi della “discriminazione positiva” è infatti molto maggiore delle conseguenze negative che sempre oggi devono subire i discendenti di coloro che hanno subito ingiustizie due o tre secoli fa. Seguendo la logica dei teorici della “discriminazione positiva” queste nuove ingiustizie andrebbero riparate con nuove “discriminazioni positive” e così via, di nuovo all’infinito. La ricerca di sempre nuove ingiustizie passate cui occorre metter riparo si combina in questo modo col continuo ricrearsi nel futuro di situazioni ingiuste cui occorre metter riparo. Una follia.
C’è però anche un altro aspetto di queste tematiche che occorre approfondire.
Certi usi e costumi, certe istituzioni dei nostro antenati ci appaiono oggi ripugnanti. E sono davvero tali. Lo schiavismo era moralmente orripilante ai tempi dell’antica Roma come lo è oggi. E’ del tutto inaccettabile il relativismo di chi ritiene che lo schiavismo fosse “giusto” un tempo o che l’oppressione della donna sia “giusta “ oggi in certe situazioni socio culturali mentre l’uno e l’altra sarebbero state ingiuste in altri tempi e lo sono in altre situazioni culturali. Da questo però non segue che chi visse in tempi in cui certe pratiche erano ritenute “normali” sia assimilabile ad un criminale; in realtà si trattava solo di persone che condividevano usi, costumi e norme etiche dei loro tempi e delle loro civiltà. Il fatto che si trattasse di usi, costumi e norme inaccettabili non trasforma in mostri chi le seguiva, meno che mai trasforma i loro discendenti in mostri o criminali da punire. E’ proprio questa invece la logica profonda, anche se non sempre chiaramente espressa, di chi teorizza la “discriminazione positiva”. L’occidentale bianco, discretamente benestante, di oggi sarebbe in qualche modo responsabile del comportamento di persone vissute spesso molto tempo fa e che si comportavano conformemente a quelli che erano gli usi ed i costumi del loro tempo. L’economista austriaco Von Mises, parlando dell’origine della proprietà privata ammette senza esitazioni che l’acquisizione delle prime proprietà è stata in molti casi violenta ed illegale. La cosa non deve stupire, aggiunge, perché tale acquisizione è stata in moltissimi casi anteriore allo stabilirsi della legge. Pretendere di riparare a tali violenze originarie è quanto mai stupido non solo per l’impossibilità empirica di tale riparazione, ma anche perché non si può pretendere una legalità anteriore alla legge. Oggi i teorici della “discriminazione positiva” sembrano voler incolpare chi discende da persone che ai loro tempi agivano in maniera conforme ad usi, costumi e norme condivise. Io sarei da discriminare perché il mio tris nonno non si comportava come una persona che vive nel ventunesimo secolo. Si tratta di qualcosa ancora peggiore della pretesa illiberale di incolpare i figli per le colpe dei padri. Di nuovo, una follia.

Finora abbiamo dato per scontato che i discendenti di coloro che hanno subito ingiuste discriminazioni siano oggi danneggiati per ciò che è successo ai loro avi, ma stanno davvero, sempre e comunque, così le cose? Per i teorici della “discriminazione positiva” non ci sono dubbi in proposito, la loro risposta è sempre SI. Ma sbagliano. Il loro errore deriva da una sorta di illusione ottica: esaminano la situazione, ad esempio, dei neri americani, vedono che spesso, anche se ormai molto meno che in passato, questa è peggiore di quella di molti bianchi e concludono che la causa di una tale situazione deriva dalle orribili ingiustizie che i neri hanno dovuto subire quando altro non erano che schiavi. Ma un simile modo di affrontare il problema è sbagliato per il semplice motivo che i discendenti di coloro che furono schiavi usufruiscono anch’essi, sia pure in misura minore e grazie anche alle loro lotte, dei benefici della società che rese schiavi i loro avi. Chi venne ridotto in schiavitù ha subito una orribile ingiustizia, un nero campione di basket che guadagna milioni di dollari all’anno, o un musicista jazz che guadagna altrettanto, o un nero che diventa presidente degli Stati Uniti godono anch’essi di quanto ha saputo edificare di positivo una società che pure si è macchiata del crimine dello schiavismo. La storia è davvero complessa, una volta tanto val la pena di usare questa parola. Nella storia ci sono crimini ed ingiustizie ma anche miglioramenti economici, conquiste democratiche, affermazioni della libertà. L’antichità ci lascia grandi conquiste culturali, anche se è stata caratterizzata dallo schiavismo, e di tali conquiste oggi godono tutti, compresi i discendenti di chi è stato schiavo. Con questo non si vuol dire, dovrebbe essere ovvio, che non si debba oggi lottare per migliorare la situazione di singoli o gruppi sociali ancora svantaggiati, si vuol dire però che questa lotta non può essere vista come “risarcimento” per quanto hanno dovuto subire di ingiusto gli antenati di chi oggi è socialmente svantaggiato. La gran maggioranza dei poveri statunitensi è “ricca” se paragonata ai poveri dell’Uganda o dell’Angola. I benefici di società opulente e democratiche hanno interessato, sia pure non a sufficienza, i loro membri meno fortunati. Quando cercano, giustamente, di migliorare le loro condizioni questi si rapportano ai problemi del presente, non alle ingiustizie del passato per cui loro dovrebbero essere “risarciti”. Gli unici che avrebbero diritto di avanzare richieste di “risarcimento” non sono più fra noi. Da molto, moltissimo tempo.

Val la pena a questo punto di fare una breve precisazione. Sinora si è spesso usata la parola “risarcimento” per descrivere le proposte dei sostenitori dell’azione, o della discriminazione “positive”. Questa parola però può indurre in inganno. In effetti, se io mio padre mi lascia in eredità una abitazione e in un secondo momento si scopre che la stessa è stata acquisita illegalmente dal mio genitore, io sono tenuto a restituire la casa al legittimo proprietario o a risarcirlo adeguatamente. La figura giuridica del risarcimento non contrasta con la giustizia ed è riconosciuta dalla legge, a condizione che le azioni illegali per riparare alle quali il risarcimento è richiesto non siano troppo lontane nel tempo. In fin dei conti la acquisizione legale non è il criterio assolutamente unico per stabilire a chi spetti una certa proprietà. E’ importante anche stabilire chi ha curato una certa proprietà, per quanto tempo lo ha fatto, se la ha fatta crescere e valorizzare. Non a caso quasi tutti gli ordinamenti giuridici prevedono l’istituto dell’usucapione. Il risarcimento in ogni caso è spesso del tutto giusto e legittimo, ma le pretese dei sostenitori della “discriminazione positiva” vanno ben oltre la rivendicazione di questo tipo di risarcimento. Vanno addirittura oltre il concetto stesso di risarcimento. Ad essere intaccati dalle pretese di “discriminazione positiva” sono i diritti fondamentali di certi soggetti prima che la loro proprietà. Se Tizio partecipa ad un concorso, dimostra di essere il migliore ma si vede superato da Caio solo perché questi appartiene ad un determinato gruppo protetto, ad essere menomati sono i diritti fondamentali di Tizio, non la sua proprietà. La “discriminazione positiva” lede il principio fondamentale di ogni società libera: quello della pari dignità di tutti gli esseri umani indipendentemente da colore della pelle, sesso, convinzioni politiche o religiose. Nessuna richiesta di risarcimento, giusta o sbagliata che sia, riguardi fatti vicini o lontani nel tempo, può essere soddisfatta riducendo i diritti fondamentali di determinati esseri umani. Se devo risarcire Tizio dovrò dargli del denaro, non perdere i miei fondamentali diritti di cittadino. La discriminazione positiva fa invece proprio questo: in nome di ingiustizie a volte vecchie di secoli subite da persone ormai scomparse da tempo pretende che vengano intaccati, spesso più che intaccati, fondamentali diritti dei cittadini. Un certo numero di posti in parlamento deve essere riservato ai maschi, o alle femmine, ai bianchi o ai neri, agli etero o agli omosessuali. Tutto questo lede profondamente il diritto di voto: puoi votare ma devi votare candidati di un certo sesso, con la pelle di un certo colore, con determinati gusti sessuali, ed il discorso non si ferma al diritto di voto. E’ dubbio che la democrazia possa sopravvivere a simili follie.

Val la pena di affrontare, per concludere, il punto fondamentale. Quale è la filosofia, la visione dell’uomo che sta dietro e sostiene le varie politiche di azione o discriminazione positiva? Ogni proposta politica importante si basa, ne siano consapevoli o meno i suoi sostenitori, su determinate teorizzazioni che con giusta ragione possono definirsi filosofiche; quali sono quelle che sostengono la discriminazione positiva? Per cercare di comprenderle appieno va la pena di allargare un po’ il discorso.
Ognuno di noi ha sentito qualche volta, penso, affermazioni di questo tipo: “il tale non ha meriti né colpe per esser nato bello o brutto simpatico od antipatico, intelligente o stupido”. E’ facile partire da simili ovvie banalità per arrivare a conclusioni che da un punto di vista astrattamente logico sono coerenti. La “società”, si conclude, avrebbe il compito di riparare le “ingiustizie” che madre natura ha commesso nel distribuire ad ognuno di noi i suoi “doni”. Ad essere degne di critica sono, come al solito, le premesse. Chi fa simili ragionamenti pensa che si possano separare gli esseri umani dalle loro caratteristiche. Ritiene che gli esseri umani siano pure essenze disincarnate, enti asettici, privi di qualità e particolarità che dovrebbero esser attribuite loro, in maniera “equa” da una non meglio specificata “società” (come se la “società non fosse composta da esseri umani). E se, per evidenti motivi empirici, la “società” non è in grado di mettere in atto questa “equa distribuzione”, dovrebbe far si che le differenze fra tali caratteristiche fossero in qualche modo compensate. Tizio, non troppo intelligente dovrebbe esser “risarcito” e reso più o meno uguale a Caio cui la “natura” ha regalato una intelligenza fuori dal comune. Eguaglianza e pari dignità non riguardano più gli esseri umani empiricamente dati, insiemi sostanziali unitari di qualità e caratteristiche. No, eguaglianza e dignità riguardano esseri disincarnati, entità assolutamente astratte beneficiarie dei processi di azione e discriminazione positiva. Tali teorie, se applicate coerentemente, porterebbero a risultati mostruosi. Un individuo sano, per fare solo un esempio, dovrebbe esser obbligato a donare un rene ad uno malato per compensarlo del fatto che “la natura” è stata “ingiusta” con lui. Forse non a caso nessuno sostiene simili posizioni fino in fondo, questa però è la logica che che sta dietro a tutte.
I sostenitori della azione o discriminazione positiva allargano il discorso dalle caratteristiche naturali degli esseri umani a quelle economiche e socio culturali. Ognuno di noi è dato, si trova nel mondo. Nasce in una certa epoca storica, dentro una certa classe sociale, famiglia, nazione, cultura, civiltà. Ognuno di noi è l’insieme unitario delle sue caratteristiche naturali e socio culturali. Io sono io perché ho un certo aspetto fisico, un certo carattere, parlo una certa lingua, vivo in un certo periodo storico dentro determinati rapporti sociali e culturali. Visto che le caratteristiche socio culturali degli esseri umani non sono, come quelle naturali, “distribuite” equamente fra loro i sostenitori delle varie azioni o discriminazioni positive vorrebbero annullarle mettendo in atto varie politiche “compensatrici”. Teorizzano persone separate dalla propria datità socio culturale oltre che naturale. Io sarei io indipendentemente dal periodo storico, dalla cultura e dalla società in cui sono nato e vivo e, visto che non posso esser separato da queste mie caratteristiche essenziali, i generosi riformatori del mondo vorrebbero mettere in atto politiche “compensatrici”. Ad essere preso di mira è, come al solito, il dato del nostro esistere: si vorrebbero ricostruire gli esseri umani mettendo riparo a quanto nel loro esser dati sembra non essere sufficientemente equo o giusto.
L’uguaglianza democratica e liberale è di tipo radicalmente diverso. Riguarda non esseri umani disincarnati, ma le persone in carne ed ossa con tutte le loro caratteristiche naturali e storico sociali. Sono queste persone ad essere titolari dei fondamentali diritti umani, a queste viene riconosciuta la pari dignità.
Certo, è giusto, è sacrosanto lavorare per società in cui questi diritti e questa dignità siano goduti da tutti, ma questa è cosa radicalmente diversa dal tentativo di annullare la datità naturale e socio culturale di ognuno di noi. Io ho certi diritti e la mia dignità, pari a quella di ogni essere umano, in quanto sono IO, con le mie caratteristiche naturali, la mia cultura, il dato del mio vivere in una certa epoca storica, entro determinate coordinate culturali. Non ho diritto ad alcun “compenso” né dovere di “compensare” qualcuno perché sono ciò che sono, al contrario, ho il diritto al rispetto per ciò che sono ed ho il dovere di rispettare gli altri per quello che gli altri sono.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non ci rende davvero uguali. Avrebbe ragione, il vivere in società in cui i nostri diritti fondamentali e la nostra dignità vengano tutelati ed in cui ognuno abbia possibilità economiche reali per cercar di realizzare i propri progetti non ci rende uguali, e con questo? Gli esseri umani non possono essere uguali perché hanno ognuno caratteristiche naturali e socio culturali diverse e diseguali. Cercare di superare questa situazione per realizzare una radicale uguaglianza sostanziale distrugge la libertà, da vita a sempre nuove ingiustizie e a forme di disuguaglianza queste si assolutamente intollerabili. La storia ha dato a questo proposito lezioni che solo i fanatici o gli sciocchi possono ignorare.

La politica della azione o discriminazione positiva non fa altro, in fondo che riproporre il vecchio mito marxista dell’uomo nuovo, con la differenza che in Marx l’uomo nuovo sarebbe il prodotto spontaneo della affermazione su scala planetaria della società perfetta comunista, per i politicamente corretti di oggi sarebbe invece la risultante di accorte politiche “riparatrici”.
C’è un’ultima considerazione da fare. Tutte le varie politiche “compensatrici” sono rivolte contro l’occidente. Lo si è già detto: il nemico è l’uomo bianco, occidentale eterosessuale, discretamente benestante, spesso cristiano. E’ lui che sarebbe obbligato a vivere scusandosi con mezzo mondo ed a compensare mezzo mondo per i crimini, veri o presunti, commessi in passato dalla sua civiltà (le altre invece sono generosamente assolte da ogni addebito). Se analizzate da questo punto di vista le politiche della azione o discriminazione positiva altro non sono che una forma particolare che assume la più generale politica della cancel culture. L’occidente è responsabile di tutti i mali del mondo. La sua storia è riducibile ad un insieme di abomini, anche se in quella storia ci sono Platone ed Aristotele, Newton e Kant, Dante e Shakespeare, Leonardo e Michelangelo, Mozart e Beethoven ed insieme a questi la scoperta dei diritti umani, l’abolizione dello schiavismo, la democrazia, la laicità dello stato, il principio di tolleranza, la razionalità scientifica, l’economia di mercato ed il benessere che questa ha assicurato a masse sterminate di esseri umani, di tutte le civiltà.
Ai teorici delle azioni e delle discriminazioni positive tutto questo interessa a poco. Sono i nuovi nemici della nostra civiltà. E’ bene rendersene conto, senza pericolose illusioni.

 

sabato 19 marzo 2022

IL NUOVO RASPUTIN

Il tour italiano del sovranista russo Dugin organizzato da gruppi  neofascisti con la presenza di vertici Rai. Che però smentiscono - La Stampa


“Questa non è una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli – geopolitico e ideologico. La Russia rifiuta tutto nel globalismo – unipolarismo, atlantismo, da un lato, e liberalismo, anti-tradizione, tecnocrazia, Grande Reset in una parola, dall’altro. È chiaro che tutti i leader europei fanno parte dell’élite liberale atlantista”.


Chi scrive queste parole? Le scrive in un articolo rinvenibile nella sua pagina facebook, Alexandr Dugin, il filosofo ufficiale della Russia di Putin. E dalle sua parole si evince immediatamente cosa sia in gioco nel periodo tragico che stiamo attraversando. Il problema non è, cosa evidente sin dal primo momento, il Donbas, o l’ingresso nella Nato dell’Ucraina, o l’Ucraina stessa. Il problema è l’occidente, soprattutto il problema è il liberalismo dell’occidente che questo novello Rasputin identifica con l’anti tradizione, la tecnocrazia, il grande reset eccetera eccetera.
“L’Occidente moderno”, prosegue il filosofo “è la cosa più disgustosa della storia del mondo. Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio. È un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione”.
L’occidente è la non civiltà dei Rothschild, Soros, Schwab, Bill Gates e Zuckerberg, notare le origini ebraiche. L’occidente si identifica con gli Zuckerberg e questi con il marciume, la degenerazione, la non civiltà. A parte le scarse simpatie che ognuno di noi, compreso chi scrive, può avere per Zuckerberg e Soros, è semplicemente incredibile che siano queste persone ad essere indicate quale simbolo di ciò che di peggio esiste nella storia dell’occidente. Mentre identifica con l’anti civilizzazione il globalismo degli Zuckerberg, Dugin guarda con malcelata simpatia al ventesimo secolo, “violento e contraddittorio”. Dimentica che le figure centrali di questo secolo sono Adolf Hitler e Giuseppe Stalin, due simpaticoni che hanno sulla coscienza alcune decine di milioni di morti. E nel momento stesso in cui condanna il globalismo mercatista ed il libero scambio Dugin non ha nulla da dire sulle società chiuse e su ciò che le caratterizza: la soppressione delle libertà personali, il declino economico, l’eliminazione del dissenso politico, le persecuzioni di artisti, filosofi ed intellettuali. Inorridisce di fronte a McDonald’s ma non dice una parola sui lager e sui gulag. E dimentica quel fenomeno secondario del nostro tempo che si chiama fondamentalismo islamico. Le adultere lapidate e gli omosessuali impiccati sono poca cosa se paragonati ad Amazon e Facebook. Dulcis in fundo, la fiera condanna del mercato globalista non lo spinge a pronunciare alcuna parola non dico di condanna, ma di critica nei confronti di quella strana mistura di capitalismo e gangsterismo che prospera nella santa Russia. Il denaro è sterco del demonio solo se appartiene a qualche cattivone ebreo…

Dugin contrappone a quella non civiltà che sarebbe l’occidente l’occidente vero, l’occidente cristiano, greco-romano, mediterraneo, europeo. La Russia si collega a questo occidente, un occidente premoderno, spirituale, nemico del materialismo e della tecnologia. Nemico, soprattutto, del liberalismo. Perché è lì l’origine di ogni male: il liberalismo, con la sua esaltazione dell’individuo e dei suoi diritti, dello scambio, del mercato. Per fortuna, sospira Dugin, la Russia non è contaminata da questo mostro: “il liberalismo in Russia sta perdendo il terreno sotto i piedi” afferma, e prosegue: “La Russia è sorta per difendere i valori della Tradizione contro il mondo moderno. È proprio quella rivolta contro il mondo moderno”.
Dunque il “vero occidente” non ha nulla a che fare con tradizione liberale, molto interessante. Peccato che sia una tradizione che va da Kant a Ralws, da Locke ad Hayek, da Spinoza a Mill, da Adam Smith ad ad Isaiah Berlin, da Hume a Popper. Tutta robaccia, anti cultura.
Ne prendiamo attoatto. Però… però alcuni aspetti centrali del pensiero liberale, alcuni valori di quella anti cultura che sarebbe il liberalismo, sono presenti in un po’ tutta la storia del pensiero, attraversano come un fiume carsico la storia della filosofia anche in periodi ben antecedenti al sorgere del liberalismo vero e proprio.
Il dialogo socratico, la ricerca razionale della verità che avanza nel libero confronto delle idee, cosa è se non un’anticipazione della moderna libertà di pensiero e ricerca? L’evangelico “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” anticipa l’imperativo categorico kantiano, così come il “date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” è in fondo una prima teorizzazione della divisione dei poteri fra autorità politiche e religiose.
“Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità” . Questo recita la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, un paese che Dugin detesta. Ma questa dichiarazione è stata in qualche modo anticipata da un’altra, secondo cui tutti gli esserti umani sono figli di Dio e, proprio per questo, dotati di pari dignità (anche se non, allora, di pari diritti e doveri fondamentali).
Tutto l’appello di Dugin alla tradizione è in realtà un appello monco, si rifà ad un occidente privo delle sue migliori caratteristiche, un occidente caratterizzato da uno spiritualismo nemico dell’autonomia della ragione. Nella migliore delle ipotesi l’occidente dei tribunali della Santa Inquisizione, nella peggiore l’occidente della deriva irrazionalista da cui sono nati i grandi totalitarismi dello scorso secolo.
In realtà il cupo misticismo di Dugin contrasta anche con quanto di meglio la grande cultura russa ha saputo creare.
Dostoevskij è un critico radicale dell’occidente, ma la sua parabola del grande inquisitore in quel capolavoro assoluto che è “i fratelli Karamazov” è una splendida esaltazione della libertà. Ed un grandissimo russo come Solzenicyn, anch’egli critico di molti aspetti della civiltà occidentale, nel primo libro di “Arcipelago Gulag” (a proposito, lo si trova nelle librerie russe?) sottopone a critica spietata il codice penale staliniano, e lo fa riferendosi alle tanto disprezzate libertà formali del decadente occidente.
Si potrebbe continuare ma non ne vale troppo la pena. I richiami di Dugin al “miglior occidente” altro non sono che riproposizione degli aspetti meno condivisibili, comunque più discutibili, della cultura occidentale. E si basano tutti su un volgare equivoco. Dugin altro non fa che sostituire all’occidente la sua attuale degenerazione politicamente corretta. Confonde la malattia col corpo che la malattia sta infettando. Poi contrappone a questo occidente, identificato col male che lo corrode, una civiltà alternativa che altro non è che la vecchia, secolare autocrazia negatrice dei diritti personali e della democrazia, della libera ricerca come dello sviluppo economico e tecnologico.
Dugin mette tutto nello stesso sacco: il globalismo che nega la rilevanza delle differenze e l’universalismo democratico e liberale, la pari dignità delle le persone indipendentemente dal sesso e dalle preferenze sessuali e l’utero in affitto, l’economia di mercato e gli eccessi di una finanza priva di limiti. In questo modo si trova paradossalmente ad essere assai vicino ai peggiori sostenitori del politicamente corretto. L’occidente è nemico della natura, la sua storia è riconducibile a razzismo e prevaricazione, la sua politica è biecamente imperialista. Forse non c’è troppa differenza fra Dugin ed i fanatici del BLM.

Sono però le conseguenze politiche dei suoi filosofemi ad apparire particolarmente gravi.
Riferendosi alla guerra in Ucraina Dugin afferma:
“...tutti capiranno il significato della moderna guerra in Ucraina.
Molte persone in Ucraina lo capivano. Ma la terribile propaganda rabbiosa liberal-nazista non ha lasciato nulla di intentato nella mente degli ucraini. Torneranno in sé e combatteranno insieme a noi per il regno della luce, per la tradizione e una vera identità cristiana europea. Gli ucraini sono nostri fratelli. Lo erano, lo sono e lo saranno”.  Gli ucraini erano vicino alla luce, ma la propaganda liberal nazista (si, proprio così, il liberalismo è equiparato al nazismo) li ha spinti verso il buio. Per fortuna arrivano i loro fratelli russi che, aiutandosi con missili, bombe e carri armati, li riportano verso la luce. E la guerra in Ucraina non è qualcosa di isolato, un mero accidente passeggero, no. A fronte della aggressività del liberal nazismo afferma Dugin, “La Russia sta creando un campo di resistenza globale. La sua vittoria sarebbe una vittoria per tutte le forze alternative, sia di destra che di sinistra, e per tutti i popoli. Stiamo, come sempre, iniziando i processi più difficili e pericolosi”. Insomma, la guerra in Ucraina è la prima tappa di uno scontro di civiltà. Luce contro tenebre, spirito contro materia, angeli contro demoni. Da tempo non si vedeva nella cultura europea un tale revival di gnosticismo manicheo.
Dugin piace a molti occidentali non troppo forti di mente. La sua critica all’occidente trova adepti fra quanti non ne possono più del gender e del misticismo ecologico, dell’immigrazionismo senza limiti e della negazione delle differenze. Proprio per questo va contrastato in maniera netta, radicale, senza concessione alcuna.
Dugin non è il rimedio, è il male. Il suo volto ascetico, la barba che ricorda quella si Solzenicyn possono far presa ma espressione ascetica e barba fluente non sono in quanto tali segno di saggezza. In “Reparto C” proprio Solgenicyn scrive che una fluente capigliatura bianca può cingere la testa dei geni come quella degli imbecilli. Dugion non è di certo un imbecille, probabilmente conosce la filosofia, di certo non è un esempio da seguire. Le sue farneticazioni non ricordano i grandi della cultura russa. Piuttosto un monaco malefico: Grigorij Rasputin.

 

lunedì 12 luglio 2021

SESSO O GENERE?

 

Diritti umani?

Per il signor Alessandro Zan e per il suo amico Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, cambiare sesso è un “diritto umano”.
“Tutti noi abbiamo un'identità di genere, la percezione del nostro genere, ma qualcuno già da bambino lo percepisce diverso da quello biologico. E' un diritto umano”. Così parlò Alessandro Zan, e Fedez è ovviamente d’accordo.
Da una parte c’è il genere, dall’altra il “sesso biologico”, quella cosuccia che differenzia fisicamente, e non solo, i maschi dalle femmine, che fa si che le donne, a differenza degli uomini, restino incinte e partoriscano, abbiano il ciclo mestruale, allattino i figli. Si tratta di particolari di scarsa rilevanza, a parere del signor Zan e del suo amico Fedez. A contare davvero non è il “sesso biologico”, è il “genere” cioè il sesso percepito. Il “genere” è costrutto culturale, scelta, ma è soprattutto un sentire, un percepire la propria sessualità. E’ possibile essere maschi ma vivere male questo essere, quindi si deve avere il diritto di modificare il proprio sesso “biologico”. Si tratta di un diritto, meglio, di un diritto fondamentale, un diritto umano, come quelli alla vita, alla liberà, alla sicurezza.
Lo dico subito, onde evitare fraintendimenti. Penso che se una persona si trova male nel suo sesso abbia diritto di cercare di cambiarlo. Chi si sente diverso ha diritto di esserlo senza dover per questo subire violenze, insulti o ingiuste discriminazioni. Se questo fosse il senso delle affermazioni del signor Zan non si potrebbe che essere d’accordo con lui. Ma il senso è ben diverso, e del tutto inaccettabile.

La prima domanda da porsi è la seguente: il diritto di cercare di cambiare il proprio sesso può esser definito diritto umano?
Non tutti i diritti si possono infatti definire “umani”. Si definiscono umani solo i diritti fondamentali, quelli da cui gli altri derivano, che informano di se gli ordinamenti giuridici ed influenzano nel profondo la vita di uomini e donne, in tutti i suoi aspetti. Il diritto alla libertà o alla sicurezza sono di questo tipo, lo è il diritto a cercare di modificate il proprio sesso? Con tutta evidenza NO. Se lo fosse dovremmo definire umani, cioè basilari, diritti come quello di scegliersi il lavoro ed il luogo di residenza, di frequentare una palestra o fare escursioni in montagna. Tutti questi sono diritti derivati, particolarizzazioni del diritto fondamentale alla libertà, definirli “diritti umani” è una mera sciocchezza. Se il diritto di cui parla Zan fosse solo quello di cercare di cambiar sesso quando non si è “soddisfatti” della propria sessualità ci troveremmo di fronte ad un diritto derivato non troppo diverso da quelli che si sono appena elencati, da tutelare ma che solo persone incredibilmente sciocche potrebbero definire “diritto umano”.
Infatti ciò di cui parla Zan NON è un diritto di questo genere. Zan e con lui i teorici del gender non mirano a tutelare i diritti di minoranze sessuali, mirano a ridefinire il concetto stesso di sesso. Non a caso non usano questa parola o se la usano le affiancano sempre l’aggettivo “biologico”, ad indicare che si tratta solo di una variante inessenziale della sessualità. Al posto della parola “sesso” che potrebbe domani fare la stessa fine di altre parole che i guru del politicamente corretto hanno espulso dal vocabolario, usano la parola “genere”. E il genere, lo si è visto, è il sesso percepito, la sensazione del sesso. Il sesso non è “quella cosa li”: una caratteristica naturale fondamentale degli esseri umani e degli animali superiori, non è collegato alla riproduzione della specie, non è componente essenziale del fisico ed in parte anche della psicologia di uomini e donne. No, il sesso è un sentire transitorio, una scelta fra le altre e, come molte altre, reversibile. Oggi sono maschio, domani femmina, dopo domani qualche altra cosa. Il sesso staccato dalla identità, dalla personalità, mero fluire eracliteo. Non si tratta di riconoscere e tutelare chi intende in questo modo la propria sessualità, si tratta di abbandonare la concezione del sesso che caratterizza da millenni il genere umano e, cosa se possibile ancora più grave, di trasformare in reato qualsiasi critica a questo concetto di sessualità. I teorici del gender si sono infatti inventati un nuovo tipo di reato: l’omofobia, in base al quale pretendono di condannare penalmente chi non condivide le loro idee. Non chi aggredisce o insulta qualcuno per le sue preferenze sessuali, questo è fuori discussione, chi ritiene che il sesso vero sia quello “biologico” e che il “genere” sia solo un costrutto culturale.

E’ chiaro che se di una ridefinizione di questo tipo si tratta, questa implica una trasformazione profonda dell’ordinamento giuridico, di usi, costumi, linguaggio, modi di rapportarsi fra loro delle persone. Non occorre trasformare il mondo per tutelare i diritti degli omosessuali e di quanti intendono modificare il proprio sesso, ma una ridefinizione del sesso nel senso indicato dai teorici del gender implica modifiche profonde e onnicomprensive.
Per fare solo alcuni esempi, i teorici del gender staccano la sessualità dalla riproduzione della specie, questo implica non solo il matrimonio e le adozioni omosessuali ma anche la legalizzazione di una pratica obbrobriosa e degradante per le donne come quella dell’utero in affitto. A sua volta questa porta a degenerazioni che è lecito definire eugenetiche. Si sceglie che tipo di bambino si intende avere: Tizio inietta il suo seme in una donna che abbia certe caratteristiche fisiche perché vuole che suo figlio abbia quelle caratteristiche e non altre. Molto spesso un’altra donna ancora porterà a termine la gravidanza. Il nascituro avrà in questo modo un padre e due madri, ma non c’è da preoccuparsi: appena nato sarà strappato a chi lo ha partorito e consegnato ai suoi felici “genitori” gender. I bambini vengono ad essere “costruiti” per assecondare i gusti degli adulti, la riproduzione diventa assai simile alla produzione; gli esseri umani diventano il risultato di una attività non troppo diversa da quella con cui si costruiscono case, automobili o televisori.
Continuiamo: se il sesso viene sostituito dal genere che fine farà mai lo sport, quello femminile soprattutto? Oggi le gare sportive si dividono in maschili e femminili e il criterio di distinzione fra queste è il sesso “biologico”, per usare la sprezzante terminologia gender. Ma se il sesso viene sostituito dalla percezione soggettiva del sesso come distinguere le competizioni maschili da quelle femminili? Sta già avvenendo: molti transgender che hanno conservato una struttura muscolare maschile partecipano a competizioni femminili e, guarda caso, vincono. Non ci vuole molto per comprendere che un simile stato di cose porterà alla fine dello sport femminile. Situazioni analoghe, a volte ridicole, altre drammatiche si presentano in molteplici aspetti della vita sociale. Carcerati maschi che “si sentono” femmine chiedono di poter scontar la pena in carceri femminili, con le conseguenze che è facile immaginare...
Conseguenze non meno gravi si hanno sul linguaggio. Oggi questo è strutturato per lo più in maschile e femminile. In una monarchia si avrà un re o una regina, a seconda del sesso di chi siede al trono. Ma questo uso del linguaggio fa riferimento al detestato “sesso biologico”. Se questo viene sostituito dal genere, cioè dalla percezione soggettiva del sesso, le cose cambiano radicalmente. Il sesso è fluido, cangiante. Oggi sono maschio, domani femmina, dopodomani… chissà… Parlare di re e di regine diventa in questo modo “discriminatorio”, “sessista”. I nomi devono diventare asessuati e per farlo li si fa terminare con un bell’asterisco. Il re diventa r* e stessa cosa capita alla regina. Il maestro diventa maestr*, la maestra idem. Qualcuno crede che con un simile linguaggio potrà continuare ad esistere una letteratura? Non scherziamo…
Infine la cosa forse più importante di tutte. Il reato di “omofobia” trasforma di fatto in crimine un sentimento, la paura, e fa si che la legge punisca con maggior severità le aggressioni di cui sono vittime le persone che hanno certe preferenze sessuali. In questo modo si viola il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, con conseguenze potenzialmente gravissime.

Non dilunghiamoci oltre: la sostituzione del genere al sesso ha conseguenze di enorme portata non solo sugli ordinamenti giuridici ma su molti e basilari aspetti della vita umana, in questo senso è simile ai fondamentali diritti umani, ma non di diritto umano si tratta. Si tratta dell’imposizione di una nuova concezione del sesso che si cerca di spacciare come difesa di un diritto. E mentre è sbagliato, non democratico ed illiberale opporsi ad un diritto è del tutto lecito, oserei dire doveroso, opporsi alla concezione del sesso che i teorici del gender cercano di imporre alle società occidentali.
Tizio ha diritto, se crede, di cercare di cambiar sesso, ma non ha il diritto di trasformare la società per adeguarla al suo modo di vivere la sessualità. Non ha diritto all’utero in affitto, né di negare ai bambini il diritto di avere un padre ed una madre e meno ancora ha il diritto di imporre ai bambini dei genitori il cui sesso varia da un anno o, chissà, da un mese all’altro. Meno che mai può spacciare per “diritto” la intollerabile violenza consistente nel bloccare lo sviluppo sessuale dei bambini di modo che questi, giunti alla maggiore età, possano “scegliere” il proprio sesso. Non ha il diritto di gareggiare in competizioni femminili pur conservando una struttura muscolare maschile, né di distruggere il linguaggio e con questo la possibilità stessa di una letteratura. Non ha il diritto di censurare o addirittura di sbattere in galera chi non concorda con la sua scelta. In una parola, non ha diritto al nichilismo, per il semplice motivo che il nichilismo non è un diritto. E’ invece un diritto, e forse anche un dovere, opporsi al nichilismo, con tutte le forze, senza se e senza ma.

Il rifiuto del dato, uomo e natura

La pretesa di contrapporre il genere a quello che si definisce “sesso biologico”, in realtà il sesso tout court, l’idea cioè che il sesso, ridenominato “genere”, sia qualcosa di fluido, malleabile all’infinito altro non è che la riproposizione in chiave politicamente corretta di una aspirazione da tempo presente nel pensiero occidentale: il rifiuto del dato.
Il dato è ciò di cui si può solo dire: è così e così. Non lo si può dimostrare perché è il presupposto di ogni dimostrazione, non è il risultato della nostra azione, non si adegua al nostro volere. C’è, esiste ed esistendo ci condiziona profondamente, e basta.
Noi tutti siamo esseri dati. Io sono nato in un certo paese, in una certa epoca storica, con certe caratteristiche, sono un essere dato
. Ed è dato il mondo che mi circonda e le leggi che lo regolano. Certo, posso cambiare alcuni aspetti dati del mondo ed anche di me stesso, ma solo partendo da altri, che devo accettare come dati. Non mi auto costruisco, non sono causa di me stesso, non posso esserlo.
L’idea di un ente che crea se stesso prima ancora di essere di impossibile applicazione empirica si rivela logicamente contraddittoria. Per poter essere causa di se stesso un ente dove già esistere, ma la sua esistenza dipende dalla capacità di autocrearsi; il concetto di esistenza rimanda a quello di causa e questo rimanda a quello: il tipico circolo vizioso. Non a caso di un solo ente si dice che è “causa sui”: Dio, ma è proprio questa caratteristica della divinità a risultare incomprensibile per l’umana ragione. Si può credere per fede, non comprendere razionalmente che Dio sia “causa sui”. In ogni caso una simile caratteristica riguarda solo Dio. L’uomo di certo non si crea da solo, è, inesorabilmente, un essere dato.
I riformatori radicali del mondo però non amano il dato, lo considerano un limite insopportabile alla libertà. Non alla libertà liberale, alla libertà assoluta, priva di condizionamenti cui gli ultra radicali aspirano.
La libertà liberale non ha nulla a che vedere con la l’idea faustiana dell’uomo che crea se stesso. Per il liberalismo la libertà è sempre libertà di uomini empirici, dati, che vivono in un mondo dato che li limita. Proprio per questo i riformatori radicali, i rivoluzionari, disprezzano la libertà liberale, sognano una trasfigurazione totale del mondo e dell’uomo, l’assolutamente nuovo che faccia piazza pulita di tutto il passato. Questa aspirazione alla palingenesi rivoluzionaria, l’evento traumatico che creerà l’uomo nuovo e la società perfetta è precisamente una rivolta contro il dato. Il dato ci ricorda che la perfezione è fuori dalla nostra portata, che il nostro potere di modificare noi stessi ed il mondo è sempre limitato, parziale, spesso molto parziale. Tanto basta ai fanatici dell’assoluto per odiarlo.

Malgrado gli strilli e le proteste dei fanatici tener conto del dato è l’unico modo concesso all’uomo per agire in maniera positiva, progredire sul serio. L’uomo non può creare la natura, meno che mai
può creare se stesso. Può modificare la natura, compresa, in piccola parte, la propria, solo obbedendo alle leggi che la regolano.
Solo per esemplificare, l’uomo per vivere deve mangiare, questo è vero oggi come tremila anni fa. La differenza fra la situazione di oggi e quella di tremila anni fa sta nella abbondanza di cibo oggi a disposizione di una parte consistente del genere umano, nella sua qualità, nel fatto che le diete di oggi sono molto più salubri, equilibrate e gustose di quelle di tre millenni fa. In questo c’è stato un grande progresso nel campo dell’alimentazione. A nessuno è però mai venuta in mente l’idea di modificare la natura umana in maniera tale che gli uomini non siano più condizionati dall’istinto della fame. Quello che accade per il cibo accade in tutti i campi dello sviluppo. Per millenni gli uomini non hanno potuto volare, oggi possono farlo non perché siano stati capaci di modificare la loro natura, “autocostruirsi” e munirsi di ali, ma perché sfruttando le leggi naturali hanno costruito macchine in grado di levarsi in volo. Considerazioni simili possono farsi per un numero elevatissimo di attività umane. Sempre, in tutti i campi quando agisce positivamente e modifica in positivo il mondo l’uomo tiene conto del dato, rispetta ed usa le leggi di natura. Quando cerca di ignorarle, o peggio di rivoltarglisi contro, provoca solo disastri.
Nulla del nostro essere dati è tanto importante quanto la nostra identità sessuale. Quando nasciamo possiamo essere o non essere sani, belli o robusti, ma di certo, a parte un numero minimo di eccezioni che restano tali, nasciamo maschi o femmine. Se non affetti da gravi patologie nasciamo col nostro sesso, l’apparato riproduttivo è parte integrante de nostro corpo, come lo sono quello respiratorio o digerente. Piaccia o non piaccia ai teorici del gender non esiste la “sessualità biologica”, esiste la sessualità e basta. E basta guardare il corpo di un uomo e quello di una donna per constatare quanto questa sia rilevante nel determinare la nostra identità.

I filosofi del gender cercano di svalorizzare quella che definiscono “sessualità biologica”, cioè la sessualità reale degli esseri umani, quella caratterizzata dalla polarità “maschio – femmina”, e cercano di contrapporre a questa la fluidità del “genere”, la sessualità percepita. Però... però anche gli omosessuali, i trans ed i cosiddetti “non binari”, coloro cioè che oscillano di continuo fra un sesso e l’altro, non escono da quello che i gender definiscono “sesso biologico”. Un omosessuale è una persona che prova attrazione per persone del suo stesso sesso, un trans o un “non binario” sono persone che, non soddisfatte del proprio sesso, vorrebbero cambiarlo; tutte restano di fatto all’interno della polarità “maschio – femmina”, semplicemente assumono nei confronti di questa polarità una posizione diversa da quella largamente maggioritaria fra gli esseri umani. Dalla sessualità non si esce, non si può uscire perché su tratta di un dato naturale originario. Non esiste il genere, il sesso come “percezione”, esiste il sesso che alcuni di noi possono percepire diversamente da altri.
I teorici del gender invece ritengono che il sesso, da loro definito “biologico” sia qualcosa di inessenziale, un mero momento del fluire del sesso percepito. Per loro una eventuale tensione fra la fisicità del sesso e il modo in cui questa viene vissuta non è
sintomo di un conflitto interno da cercare di superare, magari, al limite, con procedure di cambiamento di sesso, no, per loro questa è la sessualità “normale”, autentica, talmente normale ed autentica che si può cercare di “spiegarla”, di fatto ad imporla, anche ai bambini; c’è chi giunge addirittura a proporre che lo sviluppo sessuale di questi venga bloccato in attesa che, divenuti maggiorenni, possano scegliere il proprio sesso. Qui, con tutta evidenza, non siamo di fronte al riconoscimento di rispettabili tensioni e differenze nella sessualità, siamo di fronte a qualcosa di radicalmente diverso: al tentativo di eliminare il dato della sessualità, a fare del sesso un momento dell’autocrearsi dell’uomo. La solita, vecchia, tragica distopia faustiana.

Dal dato non si può uscire, e non solo per evidenti ragioni logiche. Non lo si può fare perché la natura, natura umana compresa, non è plastilina plasmabile all’infinito, è qualcosa di solido, retto da leggi che non è in nostro potere modificare. C’è chi ha cercato di eliminare il dato dal mondo, non c’è riuscito, ovviamente, ma non per questo la sua azione è stata priva di conseguenze, si è limitata ad un innocuo vaneggiamento utopico. I riformatori radicali del mondo non hanno costruito la società e l’uomo perfetti, l’assolutamente nuovo è rimasto fuori dalla loro portata, ma qualcosa di radicalmente nuovo la hanno costruita: le più mostruose tirannidi totalitarie della storia e montagne di cadaveri, un nuovo, terrificante “dato” nel mondo.
I filosofi del “gender” non sembrano in grado di arrivare a tanto, ma di certo la loro pretesa di eliminare dal mondo il dato della sessualita è gravid
a di conseguenze. Ben lungi dal limitarsi a chiedere tutele e rispetto nei confronti delle forme diverse di sessualità, cosa del tutto giusta, costoro pretendono, val la pena di ripeterlo, di ridefinire il sesso e di trasformare la società intera per adeguarla a questa ridefinizione. Le conseguenze di una simile pretesa toccano un po’ tutto: gli ordinamenti legislativi, la scuola, lo sport, i rapporti genitori - figli, il ruolo della scienza, la religione, il linguaggio. E sono tutte conseguenze gravemente negative. La scuola si trasforma in strumento di propaganda gender, la famiglia viene di fatto esautorata da funzioni che in ogni democrazia devono restare di sua competenza, la follia del blocco dello sviluppo sessuale dei bambini colpisce, oltre agli innocenti pargoli, i genitori in quanto questi hanno di più importante. Lo sport femminile di fatto scompare. Il linguaggio viene pervertito in maniera talmente profonda da eliminare la possibilità stessa di una letteratura. Parti fondamentali della dottrina cattolica vengono criminalizzate come “omofobe”. Viene abbandonato il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La scienza viene spinta ad impegnarsi in imprese che ricordano più le distopie di Huxley che il serio, paziente, lavoro di ricerca. In fondo l’unico modo per mondare il mondo dal dato della sessualità sarebbe quello di “costruire” integralmente, facendo leva su alcuni dati della natura, i bambini in laboratorio, magari liberi dall’infamia originaria del sesso. Chissà, forse un giorno qualcosa di simile potrebbe essere possibile, ma dovrebbe fare i conti con un altro dato, non naturale stavolta. Con quel dato della ragion pratica che Kant chiamava legge morale. Non so se questo interessi ai teorici del gender, di certo riguarda, e molto da vicino, gli esseri umani.
Al di la delle fantasie fantascientifiche, la filosofia gender
contribuisce oggi ad aggravare la crisi di identità dell’occidente, E’ un momento, e certo non di secondaria importanza, della perdita di coesione della nostra civiltà, del trasformarsi dell’occidente in civiltà gassosa, priva di un centro unificante, di valori davvero condivisi. In una parola è il sintomo del crescere del nichilismo. Per questo occorre combatterla, senza il timore di esser considerati “sessisti”. E’ sessista chi incentra sul sesso tutta la propria esistenza, esattamente come è razzista chi fa del colore della pelle la discriminante fra il bene ed il male. In questo senso nessuno è tanto sessista quanto i teorici del gender. Motivo in più per contrastarli, con serietà, senza insulti e violenze, ma con la massima determinazione.

domenica 14 febbraio 2021

SCIENZA E MISTICISMO ECOLOGICO




Dalla critica ideologica alla esaltazione acritica


Chi è, come chi scrive, “diversamente giovane” lo ricorda abbastanza bene. Per almeno un paio di decenni dello scorso secolo la scienza è stata costantemente sul banco degli imputati. Lo era in realtà da molto più tempo: la reazione irrazionalistica contro la scienza inizia col romanticismo e caratterizza, con alcune importanti eccezioni, la filosofia dell’Europa continentale sino ai giorni nostri. Col movimento del ‘68 però quella che era una disputa colta, relativamente lontana dagli interessi delle persone comuni, diventa movimento di massa. Il valore euristico della ricerca scientifica viene contestato non in ristrette dispute filosofiche ma in affollate assemblee studentesche. La scienza non è ricerca del vero ma espressione teorica della alienazione umana. Il capitalismo riduce tutto a quantità, numero, rapporto di scambio. La scienza moderna, la fisica matematica soprattutto, fa la stessa cosa. Costringe la multicolore realtà del mondo in un universo di freddi numeri, aliena la natura da se stessa, esattamente come l’economia di mercato aliena da se stessi gli esseri umani. Tutto è quantità, rapporto di equivalenti. Un mondo a testa in giù caratterizzato, per dirla con Marx, da rapporti “cosali” fra gli uomini e rapporti sociali fra cose.
Marx, a dire il vero, aveva conservato un atteggiamento positivo verso la scienza. Lo sviluppo delle forze produttive che la applicazione della scienza alla tecnica rende possibile dovrebbe assicurare alla futura, perfetta, società comunista la sua indispensabile base materiale. I contestatori degli anni 70 dello scorso secolo rifiutarono simili concezioni. La tecnologia e la scienza su cui questa si basa sono un aspetto del mondo alienato. Dietro agli slogan dei contestatori stavano le teorizzazioni della scuola di Francoforte e quelle di colui che di molti francofortesi fu maestro: Martin Heidegger, che, ironia della sorte, avrebbe aderito al nazismo dal 1933 al 1945. La scienza è alienazione, allontanamento dall’essere, deiezione, tutto meno che cosa positiva, almeno potenzialmente liberatoria.
Gran parte degli attacchi irrazionalistici alla scienza non erano, in realtà, che mistificazioni o svolazzi retorici. L’accusa di ridurre tutto a rapporto quantitativo si basa sulla incomprensione della natura della ricerca scientifica, o sulla confusione fra scienza e scientismo, che è filosofia, non scienza. A parte il fatto che non tutte le scienze sono matematizzate come la fisica, non lo è la medicina, ad esempio, a parte questo “dettaglio”, la scienza matematica getta sul mondo una griglia di relazioni numeriche che ci consentono di meglio comprenderlo, senza annullare per questo il valore, umano prima di tutto, delle qualità sensibili. Il fatto che il suono sia costituito da onde non riduce la “nona” di Beethoven ad insieme di formule matematiche esattamente come la teoria newtoniana dei colori non riduce a corpuscoli la “gioconda”. Allo stesso modo le relazioni quantitative in essere sul mercato non danno vita a “rapporti sociali fra cose e cosali fra uomini”. Dietro alla relazione quantitativa che si esprime nel prezzo stanno i bisogni degli esseri umani. Se Tizio scambia due paia di scarpe con un abito non per questo trasforma abito e scarpe nel numero “due”. Dietro a quel “due” c’è il grado marginale di utilità che per Tizio hanno scarpe ed abito, e questo, il grado marginale di utilità, è un fatto squisitamente umano, riguarda Tizio, i suoi bisogni, la soggettiva scala di valore che egli attribuisce alle cose.
Alla base dell’attacco alla scienza stava quindi il rifiuto romantico di quantità, rigore logico, verifica sperimentale, e stava la pretesa di cogliere l’essenza ultima della realtà col strumenti che poco hanno a che vedere con la faticosa, e sempre soggetta ad errore, ricerca razionale ed empirica. Un’illusione.

Col passare del tempo questa illusione doveva subire un accentuato processo di interna involuzione. La scienza smetteva di essere espressione teorica di un mondo rovesciato per diventare, più prosaicamente, arma ideologica nelle mani della borghesia, poi, in un crescendo di banalizzazione propagandistica, strumento di profitto non tanto della borghesia genericamente intesa quanto delle grandi case farmaceutiche o dell’industria bellica. Nelle teorizzazioni di Beppe Grillo e dei suoi poco intelligenti seguaci gli scienziati diventano i complici di coloro che non esitano a rovinare ambiente e salute degli esseri umani pur di conseguire illimitati profitti. La critica alla scienza perdeva ogni dignità filosofica per diventare propaganda del peggior tipo, se non pura e semplice sequela di idiozie.
Eppure, paradosso dei paradossi, le stesse persone che ieri dicevano simili idiozie, o i figli ed i nipotini teorici di queste, cercano di presentarsi oggi come i più strenui difensori della scienza. Gli stessi che vedevano fino a poco tempo fa nel farmacista un potenziale avvelenatore ora si inchinano di fronte a faraonici comitati tecnico-scientifici. L’oggettività scientifica, fino a ieri irrisa e negata, si trasforma oggi in ridicola certezza.
Nulla di male, si potrebbe dire: è lecito cambiare idea. Certo, è lecito cambiare idea, a condizione che si sottopongano le idee di ieri ad una critica teorica onesta e senza reticenze. Esattamente ciò che certi personaggi si guardano bene dal fare. Fanno invece il contrario. Nel momento stesso in cui confondono verità scientifica e certezza si prostrano di fronte a personaggi che con la scienza non hanno nulla a che vedere. La piccola Greta diventa l’icona di tanti nuovi sedicenti “amici della scienza”. Dietro all’apparente entusiasmo per la scienza si nascondono nuove fughe ideologiche. Per cercare di smascherarne le fallacie val la pena di fare qualche considerazione, ovviamente di modesta portata, su ciò che realmente è la scienza.

La scienza non è democratica… ma è libera

Lo dice spesso e volentieri il professor Roberto Burioni: la scienza non è democratica.
Non dubito della competenza scientifica del professor Burioni
e non mi permetterei mai di discutere con lui di argomenti medico scientifici. La affermazione della non democraticità della scienza non è però essa stessa una affermazione scientifica. I discorsi sulla scienza, il suo status e lo status delle sue teorie non sono a loro volta discorsi scientifici. Li può quindi affrontare anche chi, come me, ha conoscenze scientifiche modeste.
La scienza in effetti non è democratica: non si può che concordare con quanto dice il professor Burioni. Peccato però che si tratti di una affermazione abbastanza ovvia, quasi banale. La scienza non è democratica come non sono democratiche arte e filosofia, tecnologia, musica e letteratura. La scienza non è democratica per il semplice motivo che le teorie scientifiche non si mettono ai voti, mai. Riusciamo ad immaginare una votazione che debba decidere quale fra la teoria della gravitazione di Newton e quella di Einstein sia corretta? O se il sistema di Platone sia da preferire a quello di Aristotele? O se Mozart sia meglio o peggio di Beethoven? Le teorie scientifiche si affermano nelle discussioni razionali e nelle verifiche sperimentali, non nelle campagne elettorali. Volere una scienza “democratica” vuol dire non aver capito cosa sia la scienza e, parimenti, vuol dire non aver capito cosa sia la democrazia. Nelle campagne elettorali si dicono alcune verità e, spesso, molte menzogne, ma non sono in gioco la verità o la falsità, i torti e le ragioni. Non è detto che chi vince le elezioni abbia ragione o che le sue concezioni politiche, la sua visione del mondo siano vere. Le elezioni devono decidere solo chi ha diritto di governare, per un certo periodo di tempo e secondo determinate modalità. Obiettivo di grande importanza, certo, ma che con il vero ed il falso di cui la scienza si occupa non ha praticamente relazione alcuna.
Eppure, nuovo paradosso, i tardivi scopritori del valore della scienza, quelli che ripetono spesso e volentieri che questa “non è democratica”, sono gli stessi che hanno organizzato a suo tempo , e sarebbero pronti ad organizzare ancora, un bel referendum sul nucleare, che partecipano a marce e scioperi contro “l’ingiustizia climatica” o a veglie di preghiera per la salute del ghiacciaio di Planpincieux. Insomma, la scienza non è democratica ma si può decidere ai voti se le centrali nucleari sono sicure o se i problemi ambientali hanno “ingiuste” cause antropiche…

La scienza non è democratica, non può esserlo ed è bene che non lo sia, ma la scienza è libera. Le verità scientifiche si affermano dentro e grazie alla libera discussione razionale, priva di veti, proibizioni e censure. Chiunque ha diritto di elaborare una teoria, anche in netta contraddizione con altre più affermate e nessuno ha diritto di impedire che una simile teoria venga esposta e discussa. Questo non vuol dire, ovviamente, che tutte le teorie scientifiche o presunte tali siano sullo stesso piano, non dà a nessuno il diritto di dire: “c’è libertà di ricerca quindi ciò che dico io, dilettante allo sbaraglio, ha lo stesso valore di ciò che dici tu, nobel per la fisica”. Chi elabora una nuova teoria non può difenderla con lo pseudo argomento secondo cui, siccome c’è libertà di ricerca ogni teoria vale quanto le altre. Deve al contrario portare a sostegno della sua teoria argomentazioni razionali e verifiche sperimentali. Allo stesso modo però chi difende una teoria vecchia ed affermata non può limitarsi a dire: “la mia teoria è vecchia di anni ed ha alle spalle l’approvazione di fior di scienziati, quindi è giusta”. No, chi difende da nuove contestazioni una teoria già affermata deve usare argomenti razionali e, se occorre, nuove verifiche sperimentali per neutralizzarle. Nella scienza il principio di autorità ha la sua importanza ovviamente: non a caso, ad esempio, è vietato l’esercizio abusivo la professione medica, ma non è mai il criterio decisivo per valutare la validità di ipotesi e teorie. Nella scienza non tutto è sullo stesso piano, ma non è l’autorità a stabilire cosa, in ultima istanza, sia accettabile e cosa no. L’ultima parola spetta sempre, per dirla con Galileo, alle “sensate esperienze ed ai corretti ragionamenti”. Né anarchia né dogmatismo quindi, solo libera discussione razionale.

Il principio di autorità, val la pena di ripeterlo, è importante ma non decisivo nella scienza, una teoria non può essere difesa esclusivamente con l’argomento che la comunità scientifica la accetta. Questo però avviene oggi con la teoria del riscaldamento globale di origine antropica. La totalità degli scienziati è d’accordo con questa teoria, affermano spesso molti. Questo argomento però non è corretto. In primo luogo non è vero che tutta o quasi la comunità scientifica accetti la teoria del riscaldamento globale. Praticamente tutti gli scienziati concordano sul fatto che le attività umane hanno, o possono avere, conseguenze negative sull’ambiente, ma questo non vuol dire che concordino con la teoria del riscaldamento globale. L’inquinamento è cosa grave indipendentemente dal fatto che provochi un aumento insostenibile delle temperature. Molti scienziati, per l’Italia valgano i nomi di Zicchicci e Rubbia, non sono affatto d’accordo con i teorici del riscaldamento globale, ma le loro obiezioni non sono quasi mai propagandate dai media. In occasione di un vertice ONU sul clima 500 scienziati hanno inviato una lettera in cui mettevano in guardia dai pericoli del catastrofismo climatico, ma i media non hanno dedicato loro una parola. Inoltre, anche fra i favorevoli alle teorie del riscaldamento globale antropico le posizioni non sono affatto univoche. Quasi nessuno scienziato condivide ad esempio l’ isterismo climatico della piccola Greta, di fronte a cui si prostrano invece i politici; molti ammettono che le attività umane hanno effetti negativi sul clima ma si dividono sulla quantificazione degli stessi. Il quadro insomma è assai più complesso di quanto si cerchi di fare apparire.
Indipendentemente da tutto questo il fatto che la comunità scientifica accetti o meno una teoria non costituisce, in se, una dimostrazione della
sua correttezza. Quando Galileo scrisse il “dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” la maggior parte della comunità scientifica di allora accettava la fisica aristotelica ed il sistema tolemaico. Alcuni, come il grande astronomo danese Tycho Brahe cercavano un compromesso fra geocentrismo ed eliocentrismo, altri, come l’accusatore di Galileo, il cardinale Bellarmino, erano disposti ad accettare l’eliocentrismo solo quale utile espediente per far quadrare i calcoli. Non erano affatto persone rozze ed ignoranti: si trattava di fior di intellettuali amanti della scienza e della filosofia. Erano loro la comunità scientifica. Ma avevano torto.

S
cienza e misticismo ecologico

Possiamo provare, tenendo conto di quanto sinora si è detto, a riassumere in maniera ultra telegrafica quelle che devono essere le caratteristiche basilari di una teoria scientifica.
Per essere considerata scientifica una teoria deve:

1) Essere logicamente coerente,
non deve cioè contenere contraddizioni.
2) Essere empiricamente controllabile.
3)
Fare previsioni che la possano confermare o falsificare. Una teoria scientifica deve dire quali fenomeni devono verificarsi e quali no se essa è vera. Una teoria che risulti vera qualsiasi cosa accada non è scientifica.
4) Essere relativamente semplice. Deve cioè spiegare il maggior numero possibile di fenomeni partendo dal minor numero possibile di presupposti.

La scienza, questo è il senso di quanto appena detto, non arriva mai a conclusioni assolutamente certe. Le verità scientifiche sono tali sino a prova contraria. Nuovi dati empirici, razionalmente discussi ed esaminati, possono mettere in crisi teorie apparentemente “a prova di bomba” o riabilitarne altre che sembravano irrimediabilmente obsolete. La scienza ha a che fare col dato, qualcosa che sta oltre il pensiero e con cui il pensiero deve misurarsi. E ciò che è dato può contraddire qualsiasi raffinatissima costruzione teorica. Se la cosa dispiace a qualcuno non possiamo che dolerci del suo dispiacere.

Val la pena, penso, di usare i 4 punti telegraficamente sopra esposti per valutare la scientificità di alcune mode dei nostri giorni. Tengo a sottolineare la parola mode. Non intendo negare la validità delle problematiche ambientaliste. Nessuna persona ragionevole può essere contraria alla difesa di un bene prezioso come l’ambiente, ciò che è inaccettabile è il misticismo ecologico, cioè la degenerazione ideologica del sano ambientalismo.
Ed ancora, p
arlando di misticismo ecologico non intendo riferirmi alle argomentazioni che gli scienziati fanno sulle problematiche ambientali, ma al modo in cui queste vengono propagandate dai media. Non si tratta un lavoro inutile o di una polemica contro avversari “facili”: il tema principe del misticismo ecologico, quello dei mutamenti climatici di origine antropica, è oggi al centro di una propaganda martellante e su di esso si giocano fondamentali battaglie economiche e politiche. Vedere se il modo in cui questo tema viene presentato alla pubblica opinione ha un qualche legame con la scienza non è perciò una perdita di tempo, al contrario.

Veniamo al punto uno.
E’ assai difficile trovare contraddizioni nelle varie teorie del riscaldamento globale per il semplice motivo che tali teorie, quando vengono presentate alla pubblica opinione, non vengono mai formulate in termini scientificamente rigorosi. Non esiste una legge del riscaldamento globale formulata come la legge di Galileo sulla caduta dei gravi o quella della gravitazione di Newton. Non esistono contraddizioni, o per lo meno io non ne conosco, nelle formulazioni scientifiche relative al riscaldamento globale di origine antropi
ca, ma ne esistono molte nel modo in cui questo viene presentato alla pubblica opinione. Faccio solo un esempio. “Siamo sull’orlo del baratro”, si sente strillare di continuo dai teleschermi. La piccola Greta, sommersa dagli applausi dei politici, ci ha detto che stiamo ormai precipitando nell’abisso. La casa brucia, siamo rovinati. Questo il senso di tanti, continui appelli catastrofistici. E poi, dopo gli strilli, l’indicazione della cura: “dobbiamo a azzerare le emissioni di CO2 in meno di 10 anni”. Che bello! Che sublime coerenza!
Se viaggio in auto a 100 chilometri orari e mi trovo a dieci metri da un burrone, posso dire che eviterò il pericolo fermandomi fra 100 metri? O riducendo la velocità da 100 a 40 chilometri orari? No ovviamente, eppure proprio questo affermano i seguaci della piccola Greta (e si tratta di leader di partito, capi di stato). Se davvero siamo ad un centimetro dall’abisso dobbiamo azzerare le emissioni subito,
dall’oggi al domani, ogni altra soluzione è del tutto inutile! Anzi, se davvero stessero così le cose nulla, ma proprio nulla ci salverebbe: anche se azzerassimo le emissioni dall’oggi al domani basterebbe l’attività vulcanica a rovinarci. E non pare che la piccola Greta sia in grado di bloccarla...
La coerenza logica manca del tutto in tante idiozie catastrofiste.

Passiamo ai punti due e tre.
La teoria del riscaldamento globale di origine antropica è sottoposta a numerose verifiche empiriche. I media non fanno altro che portare all’attenzione del grande pubblico fenomeni che confermano, tutti, tale teoria. Ma… che validità hanno queste “conferme”? Decisamente poca. Il trucco sta nel presentare come “conferma” della, o delle, teorie del riscaldamento globale antropico fenomeni che sono sempre esistiti e che vengono oggi, tutti, attribuiti a tale riscaldamento. Da sempre esistono uragani, siccità, alluvioni, oggi tutti questi fenomeni vengono invariabilmente attribuiti dai media al “riscaldamento globale”. I più accorti ricordano al popolo bue che il riscaldamento sarebbe non tanto la causa di questi fenomeni quanto di una loro  intensificazione geometrica, ma le cifre portate dai media a sostegno di tali ipotesi sono quanto meno assai  discutibili. Ad esempio, è scorretto parlare di intensificazione di fenomeni estremi come gli uragani facendo riferimento all’ammontare delle distruzioni che questi arrecano alle popolazioni. Un uragano che colpisce oggi zone densamente popolate è più distruttivo di uno che colpiva ieri zone semi desertiche... se nessuno nascesse nessuno morirebbe…
La conseguenza di tanta superficialità è che le varie teorie del riscaldamento globale antropico hanno la curiosa caratteristica di esser vere qualsiasi cosa accada. La teoria del riscaldamento globale antropico è confermata dalle alluvioni come dalla siccità, dal gran caldo come dal freddo gelido. In questo modo decade a mera tautologia: esattamente ciò che Popper, e non solo lui ritenevano inaccettabile in una teoria scientifica.
Non a caso i teorici del riscaldamento globale antropico sono piuttosto restii a fare previsioni precise, empiricamente controllabili. Prevedono come saranno le temperature fra un secolo ma non fra sei mesi. E quando le fanno, le previsioni, quasi mai c'è qualcuno che si preoccupa di verificarne l’esattezza, e se, raramente, la verifica c’è, ed è negativa, nessuno si permette di dire che la teoria forse andrebbe rivista. La piccola Greta ha stabilito anno, mese, giorno ed ora della fine del mondo, ma dubito che fra otto, nove anni (mi scuso, non ricordo la data precisa della nostra fine) qualcuno si darà la pena di verificare la correttezza della sua profezia.
Beppe Grillo un po’ di anni fa aveva predetto che il livello degli oceani si sarebbe alzato di una decina di metri in seguito allo scioglimento dei ghiacci artici. Lo sa questo buffone che i ghiacci artici sono in larga misura marini e che lo scioglimento dei ghiacci marini non provoca aumento alcuno del livello del mare? Lasciamo perdere… in ogni caso nessuno gli ha rinfacciato il fatto empiricamente controllabile da tutti che un simile disastroso aumento non c’è stato e che Venezia, data per spacciata dal comico, è ancora al suo posto.
Parlando di cose serie, il club di Roma,
una associazione di scienziati, gente seria, non dei Grillo e delle Greta qualsiasi, pubblicò nel 1972 il libro “i limiti dello sviluppo”. In quest’opera si prevedeva che entro il 2000 si sarebbero esaurite tutte le principali materie prime del pianeta, a cominciare dal petrolio. Non sembra che la previsione, formulata stavolta in termini scientificamente seri, sia stata confermata. Qualsiasi teoria scientifica che si fosse vista contraddetta in maniera tanto clamorosa dai fatti sarebbe stata quanto meno riesaminata, corretta. Non so se gli scienziati abbiano fatto qualcosa di simile a proposito della teoria del riscaldamento antropico, di certo i media nulla hanno detto in proposito. Tutti hanno continuato a parlare della fine del mondo prossima ventura come se niente fosse. Il riscaldamento globale antropico è un dato che si deve accettare, qualsiasi cosa accada, quale che sia l’esito di verifiche e controlli. Un “dato” simile in realtà non è un dato, è una proclamazione di fede, un dogma. L’esatto contrario delle scienza.

Per concludere passiamo al punto 4.
E’ bene che una teoria scientifica sia relativamente semplice, spieghi cioè il maggior numero possibile di fenomeni partendo dal minor numero possibile di presupposti. Rispettano le varie teorie del riscaldamento antropico un simile requisito?
NO.
Queste teorie in effetti cercano di spiegare un numero enorme di fenomeni climatici partendo da un unico presupposto: quello del riscaldamento globale
antropico. Però, per ottenere questa spiegazione sono costrette ad aumentare a dismisura le ipotesi di partenza. Cerco di spiegarmi con un esempio. Il riscaldamento globale, lo dice lo stesso nome, dovrebbe portare ovunque un gran caldo. Però, spesso e volentieri ci sono zone del mondo oppresse non dal caldo equatoriale ma dal gelo polare. Anche il gelo però è spiegabile con il riscaldamento globale ci ammoniscono dai teleschermi valenti giornalisti. Come? Semplice: i ghiacci si sciolgono, questo provoca negli oceani un aumento delle correnti fredde, queste a loro volta fanno deviare le correnti calde e da tutto ciò deriva in certe zone del mondo un gran freddo. Altro che semplicità! L’ipotesi di partenza si “arricchisce” di sempre nuove ipotesi supplementari senza naturalmente che queste vengano accompagnate dallo straccio di una previsione, per lo meno, senza che lo straccio di una previsione sia comunicato al popolo bue, oggetto di una propaganda martellante. Nessuno ci viene a dire, prima, che la corrente del golfo sarà deviata da correnti fredde di origine artica e questo porterà in Europa un gran freddo nella prossima estate. Al massimo qualcuno ci ammonisce di non confondere il clima con il meteo, come se non fossero proprio i seguaci della piccola Greta a trasformare ogni evento meteorologico in una “prova” della prossima fine del mondo. Soprattutto, senza chiarire dove finisce il meteo e comincia il clima, senza fare previsione alcuna, climatica, non meteorologica, su come sarà il clima non fra un secolo ma fra un anno.
Ricordava sempre Popper che la scienza deve fare un uso oculato delle ipotesi ad hoc,
quelle che possono salvare una teoria dalla falsificazione empirica. I teorici del riscaldamento di origine antropica ne fanno invece un uso smodato. Basterebbe questo per dubitare dello status scientifico di molte loro affermazioni.

La attendibilità scientifica di varie teorizzazioni sul riscaldamento globale antropico può essere facilmente verificata confrontandole con l’atteggiamento della comunità scientifica riguardo ai vaccini.
La validità dei vaccini ha ricevuto innumerevoli conferme empiriche. I vaccini hanno contribuito in maniera decisiva a debellare malattie che fino a
ieri mietevano vittime a milioni. Gli effetti collaterali , quasi sempre previsti, sono stati contenuti, quelli davvero gravi rappresentano percentuali statistiche minime. Soprattutto, chi ha scoperto vaccini di vario tipo non ha mai presentato le sue teorie sugli stessi in maniera tale da immunizzarle dalle verifiche empiriche. Nessun vaccino è valido qualsiasi cosa accada, se non è efficace viene semplicemente ritirato dalla circolazione. Non occorre fare troppe elucubrazioni per capire che tutto questo non avviene con le teorie del riscaldamento globale antropico. Se la previsione del valore terapeutico di un qualsiasi vaccino avesse ricevuto smentite empiriche anche lontanamente paragonabili a quelle subite dalle previsioni del club di Roma lo scopritore sarebbe stato radiato dall’ordine dei medici. E tanto basta, direi.

Transizione? E di che tipo?

Vorrei fare una precisazione, per non essere frainteso. Considero di vitale importanza la difesa dell’ambiente e sono sinceramente convinto della importanza delle tematiche ecologiche. Non credo, come i mistici ecologici sembrano credere, che esista una sorta di armonia prestabilita fra uomo e natura, un paradiso perduto che basta ritrovare per vivere felici. L’uomo non può essere semplice componete di qualche ecosistema, deve modificare l’ambiente circostante anche solo per sopravvivere, questa è la sua natura. Ma le modifiche che l’uomo apporta all’ambiente sono sempre, almeno potenzialmente, gravide di pericoli. Dobbiamo modificare l’ambiente, ma questa modifica si rivela spesso un’arma a doppio taglio. Abbiamo bisogno di case, auto ed aerei, ma anche di aria pulita e mare limpido. Queste diverse esigenze non sono destinate ad armonizzarsi automaticamente, spetta a noi, alla nostra intelligenza operare per armonizzarle, non una volta per tutte, ma di volta in volta, con sano realismo pragmatico.

La difesa dell’ambiente può anche essere una ottima occasione di sviluppo economico. Costruire termovaloriz
zatori e rigasificatori, provvedere alla raccolta differenziata dei rifiuti ed la loro smaltimento il meno inquinante possibile, mettere in sicurezza il territorio non solo preserva l’ambiente ma favorisce occupazione e sviluppo, con buona pace dei teorici della decrescita felice. Non dobbiamo però commettere l’errore di credere che se intorno a tematiche ambientali si sviluppa un notevole giro d’affari queste tematiche sono necessariamente corrette. Il fatto che la produzione e la vendita di una certa merce costituiscano un buon affare dice poco o nulla sulla qualità o sulla bontà delle merce stessa. Quando si entra in una libreria si notano sugli scaffali principali molti libri spazzatura. Probabilmente è grazie a questi che editori e, a volte, librai conseguono degli utili, ma sempre di libri spazzatura si tratta. I pannelli fotovoltaici rappresentano oggi un buon affare, ma questo non dimostra che siano davvero utili per produrre energia, meno che mai che possano sostituire in misura significativa altre forme di produzione energetica. Questo è ancora più vero se si pensa che i pannelli sono convenienti anche e soprattutto grazie ad incentivi statali pagati anche da chi non li compra. Se tutti munissero le loro case di pannelli solari la loro pretesa convenienza verrebbe meno...
Nel mondo la quasi totalità dell’energia è prodotta con petrolio, carbone e nucleare. Il peso delle cosiddette “rinnovabili” è puramente residuale . Questi sono i dati che contano per valutare se abbiano o meno ragione coloro che sostengono certe non meglio definite “transizioni ecologiche”. Anche dando per scontato che le politiche di “transizione ecologica” incrementino, per un certo periodo di tempo, determinate aree di business non è da questo che va giudicata la loro convenienza economica. L’economicità di certe scelte produttive si misura in ultima istanza non coi temporanei profitti monetari che permettono di conseguire ma con la loro capacità di produrre beni e servizi, quindi di incrementare stabilmente il PIL. Se si decide di produrre energia con il solare occorre vedere quanta, e di che qualità, energia si produce con una simile tecnologia. Se l’energia prodotta è scarsa e di cattiva qualità i profitti inizialmente conseguiti si riveleranno puramente nominali, una mera illusione monetaria.

Le rivoluzioni economiche ed industriali  sono state finora la conseguenza di innovazioni tecnologiche, scoperte geografiche, scoperta di nuove fonti di energia o della composizione di questi tre fattori. La “transizione ecologica” di cui oggi parlano in tanti sembra invece essere, insieme, la conseguenza di una deriva ideologica, delle aspirazioni mondialiste di enormi gruppi multinazionali e del tentativo di alcuni stati, la Cina in primo luogo, di assurgere al rango di incontrastate super potenze mondiali. Tutte cose che, come si vede, hanno poco a che vedere con la tutela dell’ambiente e con uno sviluppo economico insieme sostenuto ed attento alle ricadute ecologiche.
A differenza di precedenti rivoluzioni industriali la attuale “transizione ecologica” contrasta inoltre con lo sviluppo tecnologico, non a caso i suoi più convinti sostenitori sono i teorici della “decrescita felice”, i figli ed i nipotini di coloro che una trentina di anni fa bollavano scienza e tecnologia come “strumenti del potere borghese” e che oggi, superata la vulgata marxista,
le definiscono risultato di una insana “volontà di potenza” dell’uomo.
I seguaci di Beppe Grillo quelli che hanno fatto della “transazione ecologica” la loro bandiera, sono contrari alle acciaierie, all’alta velocità, ai termovalorizzatori ed ai rigasificatori, alle auto ed alle autostrade, contrastano tutte le opere pubbliche, dai ponti alle tratte ferroviarie. Sono coloro che tengono bloccati da decenni i lavori della TAV e da anni quelli del terzo valico. Soprattutto, sono contrari alla plastica, al nucleare, al carbone ed al petrolio. Basta guardarsi intorno per rendersi
conto di quanto simili programmi siano demenziali. Si elimini dal mondo la plastica e tutte le economie collassano nel giro di pochi mesi, forse poche settimane. Si cerchi di produrre con le sole “rinnovabili” non dico tutta, ma una porzione significativa dell’energia di cui abbiamo bisogno ed il mondo piomba nella più assoluta povertà e nel caos, con centinaia di milioni di disoccupati e, probabilmente, nuove guerre.
Non solo, simili demenziali proposte sono anche profondamente antiecologiche. Per produrre quantità appena discrete di energia con eolico e solare occorrerebbe riempire di pale e pannelli aree sterminate, con conseguenze disastrose su ambiente, fauna e flora selvatiche, e ci sarebbe sempre il problema enorme dello smaltimento di questi “ecologici” strumenti di produzione di energia una volta giunti al termine del loro ciclo produttivo. Non a caso la proposta
vera dei mistici dell’ecologia è la drastica riduzione dei consumi: meno consumi, meno produzione, meno energia: il ritorno al “buon tempo antico”, quando la vita media non superava i 30, al massimo i 40 anni e gran parte della energia di cui comunque si aveva bisogno era costituita dalla forza muscolare animale e umana. L’epoca in cui esistevano lo schiavismo e la servitù della gleba. Una meraviglia!
Qualcuno potrebbe
obbiettare che queste sono solo farneticazioni di pochi fanatici, ma, a parte il fatto che questi fanatici oggi governano l’Italia, non solo di loro si tratta. La piccola Greta fa proposte ancora più radicali di quelle di Grillo e di fronte a lei si prosternano fior di uomini di stato. L’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni di CO2 in meno di 10 anni non è del solo Grillo ma anche dei principali Leader del PD e della UE. Nella sua enciclica “Laudato si” Bergoglio ha fatto discorsi del tutto simili. Insomma, non vorrei essere troppo pessimista, ma non siamo di fronte a poche farneticazioni ma ad una ideologia molto diffusa, intrecciata con interessi economici e politici molto potenti.
Il misticismo ecologico è una pericolosissima forma di nichilismo, particolarmente insidiosa perché riguarda tematiche che non possono non interessare ogni persona ragionevole. E che spesso inibiscono alle persone ragionevoli la capacità di sottoporre a critica severa le idiozie. Perché sotto sotto hanno paura, le persone ragionevoli, di apparire contrarie ad una giusta causa come quella delle difesa ambientale.
Occorre invece superare ogni timidezza. Il nichilismo antiscientifico va combattuto, senza se e senza ma, anche se riveste i panni rassicuranti dell’amico della scienza, e si fa bello con amorevoli richiami a vette immacolate e mari cristallini.